Sarà l’assolutismo itinerante del programma di viaggio, saranno i faticosi costumi locali o i fottuti cinquant’anni, fatto sta che ogni tre, quattro giorni di New England il corpo m’implora di fermarmi. Oggi sono fortunato perché, quando arriva la supplica, a Cape Cod piove e fa freddo. Mi godo allora la suite nobiliare del Sea Mist Resort di Mashpee: due camere, due bagni, capiente living, come direbbe Cracco, e cucina abitabile, nel senso che ci può abitare una famiglia di quattro persone; c’è anche un balcone in legno con una dozzina di sdraio che mi spupazzerò appena esce il sole. Verso le 11, a malincuore, devo abbandonare le mie stanze, giacché ieri sono arrivato tardissimo da Boston e manca la pappa per la colazione. Spulciando il vademecum fornitomi nottetempo dalla poco raggiante Linda della reception, individuo il posto delle fragole e lo raggiungo in dieci minuti, deflorando la Great Neck Road North e la 151.
Laura’s cooking
All’interno del Laura’s cooking si respira un’atmosfera talmente anni Cinquanta che ti aspetti esca a servirti la signora Cunningham con Fonzie ai fornelli; invece arriva Pat, ragazzotta ipervitaminica che ha il solo difetto di non capire il mio inglese, ormai eccellente. Ordino bacon&eggs e orange juice, ai quali Fonzie aggiunge patate al forno e pane tostato. Addomesticato a fatica quello che è diventato un brunch, mi fiondo allo Stop&Shop, qualche miglia più a sud, c’è da fare la spesa per i prossimi cinque giorni a Cape Cod. Senza fretta, aggirando le pacchianerie di un Halloween incombente, insacco prosciutto crudo – scritto proprio “prosciutto crudo” – banane, bottiglione informe ai frutti verdi, pan carrè in confezione titanica e cookies al burro da tenere in auto per i cali glicemici. Più sei mezzi litri di Poland Springs, la mia acqua già nel New Hampshire.
Stop&Shop
Alla cassa trovo Kevin, la cui espressione ricorda l’acume di un koala. Kevin mi bombarda di un idioma sconosciuto, intercetto solo una serie di “Sir” ogni tre parole. Con uno sforzo di concentrazione degno di un esame di stato intuisco che mi sta chiedendo se ho la carta punti Stop&Shop: vorrei farti felice Kevin ma non ce l’ho, però prima di andare via la faccio, giuro!
Ora Cape Cod è meno rabbuiato, meno prigioniero delle nuvole. Assicuratomi il cibo, è il momento di sdoganare la costa. La Lonely mi manda a Ellis Landing Beach, deserta.
Ellis Landing Beach
Ecco, quando mesi fa ho scelto di svernare una settimana a Cape Cod, pensavo esattamente a questo, alla solitudine ventosa di una striscia infinita di sabbia: arrampicarmi sulle dune per dominarla dall’alto, calarmici dentro così da gonfiarmi i polmoni del marcio degli stagni lasciati dalla piena di marea. Oltretutto non c’è il sole, quindi il meglio deve ancora venire. Dopo un tempo imprecisato, in cui saranno passate forse due ore e sì e no tre persone, lo stomaco bussa imperativo agli occhi: ehi, avete fatto il pieno di bellezza, ora vediamo di riempirmi.
L’Underground Bakery è a Dennis, lì vicino, uno stanzone minimalista che delega alle vetrine di muffin, cheesecakes e altre calorie indigene il compito di attirare l’attenzione di chi vi passa davanti. La “pasticceria sotterranea” è gestita da una coppia sui quaranta: Ian, pelato con barbetta bianca e istogrammi sulle braccia, e sua moglie, occhio da faina e capelli rosa.
The Underground Bakery
Mentre Ian mi parla in portoghese, convinto che un italiano lo capisca al volo, ispeziono l’ambiente: benché spoglio e scarsamente illuminato, lo stanzone offre l’intimità di un soggiorno domestico, c’è perfino una poltroncina di velluto, di quelle nelle case dei nonni. Prendo una cioccolata, dolcissima, e un donut alla zucca ancora più stucchevole – gli americani non ti portano mai lo zucchero perché ne versano ettolitri direttamente sulle vivande. Poi chiedo alla moglie di Ian qual è la spiaggia migliore per ammirare il tramonto, già che si sono fatte le cinque e manca poco: Corporation Beach, a sinistra su Main street e ancora a sinistra su Corporation Road, risponde lei atona sporgendosi da un enorme paiolo in cui sta rimestando qualcosa di molto giallo e molto colloso.
Nella penombra della pasticceria non mi sono accorto che il cielo si è richiuso: su Corporation Beach il sunset scorre incolore e lascia un crepuscolo violaceo, seviziato dai fari molesti delle auto ferme nel parcheggio davanti all’oceano. Quando non c’è davvero più nulla da vedere vanno via tutti, richiamati all’ordine dal fishburger della cena: ora ci sono soltanto io a godermi l’inchiostro che dal cielo si tuffa in acqua, ben sigillato nella Nissan, perché intanto il vento si è incattivito e non dà tregua.
Corporation Beach
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