Il factotum della Hertz mi aveva messo in guardia: le quattro ruote motrici ti issano in cima al mondo, però attento, ché a marce basse la Jeep succhia tutta la benzina in poche miglia.
Ok man, ti ho dato retta, sono partito da Hilo con mezzo serbatoio, fuel a sufficienza per scalare i 4.000 del Mauna Kea. La minchiata, forse, è stata lasciare acceso il motore in low gear mentre mi selfeggiavo sulla vetta insieme a telescopi, albe e crateri in penombra: un quarto d’ora è rimasto acceso, pensavo di tenere calda la Jeep, ecchediamine, alle 6 di mattina c’erano meno tre gradi sulla “montagna bianca” – bianca perché spesso ci nevica.
Così, esaurita la vena narcisista, quando risalgo a bordo e innesto la D di Drive, il livello del carburante precipita sulla E di Empty. Bene, sono sul picco di un vulcano dormiente delle Hawaii, senza benzina e solo – già ripartite la coppia e la comitiva di giapponesi che hanno visto sorgere il sole con me. Il nucleo del Visitor Center, il contesto antropizzato più vicino fatti salvi gli osservatori astronomici chiaramente disabitati, dista cinque miglia di sterrato tortuoso. E il 99% degli esseri umani di Big Island al momento sta dormendo, compresi i ranger del parco.
Non rimane che sfruttare la forza di gravità, inserire la N di Null – strano modo di chiamare la folle – e scendere, tenendo ben salda la barra, in modo da addomesticare tornanti e fondo dissestato. Si può anche pregare, nel frattempo: che i freni reggano, che la Jeep rimanga stabile anche in assetto 4×2, che non si spenga il motore causa definitiva evaporazione della benzina nel serbatoio. Già, perché se si spegne il motore le auto americane si bloccano, cioè non le puoi lanciare in discesa mettendo a folle, si piantano lì dove sono, foss’anche la sommità del Mauna Kea.
Assecondo le curve, gli occhi sgranati un po’ dall’ansietta un po’ dalla sveglia alle quattro; alle spalle il sole, la cui luce montante sta svelando uno scenario kubrickiano: sciami di foschia, lave millenarie, decine di coni vulcanici di altezze e colori diversi. Su qualche breve rettilineo, per qualche secondo riesco pure a godermi tanta bellezza marziana, poi reincollo lo sguardo sulle pietre della strada. Nonostante il freddo, sono sudato fradicio.
Il motore non si spegne e i freni, pur stremati, non cedono. Non si sa come, mezz’ora dopo intravedo le casette del Visitor Center. L’ultimo tratto prima del parcheggio è sbarrato da un pickup dei ranger: allora sono svegli!
Mi fermo a una ventina di metri e ingrano la P di Park per non sciupare l’abbrivio verso l’oceano. Smonto dalla Jeep e via via che mi avvicino l’espressione del ranger si fa più interrogativa, quella prossemica un filo caprina che assumono da queste parti di fronte a qualcosa di incongruo. Una volta a portata di conversazione gli spiego il guaio e lui mi rammenta pedante quanto sia importante affrontare il Mauna Kea con almeno mezzo serbatoio di gasoline: ce l’avevo la gasolina, signor ranger, ma misteriosamente – insomma – è finita… ne avessero loro… No, niente taniche al Visitor Center, l’unica soluzione è chiamare qualcuno a Hilo affinché ne porti una: viaggio da solo, signor ranger. Ok, chiama lui un collega, dovrò pagare carburante e servizio, obviously. Ora però vediamo di liberare la strada dalla Jeep, la gente deve transitare in sicurezza – come dargli torto, alle sette di mattina il traffico per il Mauna Kea ricorda un qualsiasi venerdì pomeriggio in Tangenziale Ovest.
Prima di spostare l’auto, in un inglese corrotto dalla tensione, azzardo un’ipotesi insana: e se scendessi in folle fino alla highway e lì fermassi ogni macchina che passa? Qualcuno ce l’avrà una tanica di scorta, vista la rarefazione dei benzinai hawaiiani… Pessima idea, gli americani non trasportano carburante sfuso, è pericolosissimo, e poi rischio di non raggiungerla neanche, la highway, rischio che la Jeep mi si pianti in mezzo al nulla, a secco: a quel punto non avrei più nessuno per chiamare chicchessia. D’accordo signor ranger, è una stronzata: ficco la coda tra le gambe e punto dritto al parcheggio.
Nel parcheggio, inscatolata in una Chevrolet, entra la famiglia Cunningham, quelle facce generose da americani anni Cinquanta che gli puoi chiedere qualunque cosa. Non hanno taniche a bordo, però, se trovo una pompa, mi fanno aspirare un po’ della loro benzina, tanto hanno fatto il pieno.
Torno raggiante dal ranger, ora affiancato da un collega di sangue misto hawaiiano-giapponese – contaminazione piuttosto frequente qui. Il ranger di complemento, evidentemente ragguagliato dal primo sulla mia imperdonabile imprudenza, mi rassicura, me la danno loro la benzina, non devo preoccuparmi. Dirmelo subito, anziché incasinare tutto con la storia della telefonata a Hilo?
Come se mi leggesse il pensiero, neanche volesse scongiurare che la lamentazione da tacita si trasformi in espressa – fenomeno di cui potrei pentirmi – il ranger buono spiega: fino a poco tempo fa i malcapitati come me li aiutavano, poi hanno adottato la politica Glovo, la benzina te la fanno recapitare a domicilio, vogliono evitare che passi un messaggio destabilizzante, che al Mauna Kea si possa tranquillamente restare senza benzina tanto ci pensano i ranger. E mentre mi chiedo cosa gli abbia fatto cambiare idea proprio oggi ripristinando un sano spirito di servizio al turista, il nippo-hawaiano, di nuovo nella mia testa, rivela che loro ci tengono a fare bella figura con gli stranieri, io poi sono italiano come il bisnonno di sua moglie. A quel punto lo abbraccio, fanculo il Covid, e per un soffio non lo chiamo paisa’.
Con Michael, questo il nome del mio benefattore, ci diamo appuntamento al parcheggio, il tempo per lui di recuperare la pompa. Appena mi raggiunge, svita il tappo del serbatoio invitandomi a controllarne il livello sul display: l’ago è sempre fisso sulla E di Empty, caro Michael. Grazie a un’illuminazione divina riaccendo il motore e, miracolo, l’ago schizza a un quarto di pieno, non più ostaggio della zona giallo-rossa di Empty. È la pressione, certifica Michael, col freddo può succedere, il computer di bordo va in pappa e fornisce un false reading: per questo ha svitato il tappo, per normalizzare la pressione del serbatoio. Non solo è buono e compaesano, Michael è anche un genio della fisica, gli devo una rogna in meno e il ripescaggio della mia autostima, crollata a picco a causa del motore tenuto acceso in vetta.
Ora posso scherzarci su, con la benzina che ho arrivo sereno a Kona dove si concentra l’80% dei distributori di Big Island. Ora posso pure entrare nel negozio di souvenir del Visitor Center, cerimonia da cui di solito mi tengo alla larga ma che oggi intendo celebrare con enfasi, c’è da festeggiare l’ennesimo scampato pericolo di questo viaggio, ci vuole una maglietta, una mug, un cornetto hawaiiano.
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