Il Cile mi ha detto arrivederci con i colori di Valparaiso.
Non era in programma, Valparaiso: perché arrivavo da Punta Arenas e volevo che l’ultima immagine sulla rétina prima di accecarmi a Legnano fossero i delfini australi di Bahia Agua Fresca.
Perché c’era da noleggiare la macchina, e metti che rientrando buco una gomma in autostrada a un’ora dal check-in con Air France.
Perché a sentire gli stessi cileni tra i suoi vicoli rischiavo la borsa e la vita.
Perché un nuovo giro di giostra dopo tre settimane di luna park esigeva energie residue che non credevo di avere.
Ma l’alternativa era chiudere il viaggio a Santiago, dov’ero già transitato durante la discesa dal deserto di Atacama alla Patagonia, respirandone la storia travagliata e la poca bellezza: un’altra giornata, per di più finale, a ingrigirmi dei palazzacci del centro, a sudare, a schivare le prostitute di Plaza de Armas, avrebbe attentato allo splendore del Cile precedente e cancellato dagli occhi le acrobazie dei delfini.
Dunque niente Santiago e Suzuki noleggiata all’aeroporto Benitez – la procedura meriterebbe un racconto a parte, qui dico solo che la targa sul contratto era diversa da quella sull’auto – poi Ruta 68 fino a Vina del Mar, 120 km finalmente asfaltati di cui una cinquantina punteggiati di vigne, che neanche in Franciacorta.
Da Vina del Mar sono salito a Renaca, all’Air b&b di Gabriela, forse la scelta di alloggio più azzeccata del viaggio: camera ampia, pulitissima, bagno privato, teli per il mare. E una spettacolare posizione fronte oceano, a metà strada tra Valparaiso e Concon, sulle cui dune sarei scivolato di lì a mezz’ora.
Le dune di Concon, un regalo imprevisto. Ne avevo letto svogliatamente sulla Lonely appuntando il nome in mezzo alle decine di meraviglie da vedere, non tra le prime.
Facile che sia stata questa mancanza di aspettative, insieme a un tramonto sconfinato, a incantarmi, a inchiodarmi per quasi due ore sulla loro sabbia di velluto, rapito dal silenzio e dagli esperimenti luminosi del sole, sull’acqua, sulla pelle, sul vetro dei grattacieli.
Ecco, perfino i grattacieli contribuiscono alla magia di Concon: anziché boicottarla, come ci si aspetterebbe da strutture tanto invasive e “umane”, la loro geometria innaturale finisce per alimentarne il fascino, perché in contrasto virtuoso con l’anarchia primordiale delle dune, al tempo stesso argine e grembo della modernità.
Valparaiso è arrivata la mattina seguente, dopo squarci di notte ad ascoltare un Pacifico nervoso dalla finestra aperta; dopo un risveglio alieno all’abbaiare dei leoni marini accampati su un enorme scoglio di fronte alla spiaggia.
Il piacere di camminare sulle colline variopinte della città – i colori sgargianti glieli danno case e murales, il celebre “museo a cielo abierto” – ha via via differito il rientro a Santiago, già ritardato dalla lunga sosta all’isolotto dei leoni marini: ma vuoi non salire alla Sebastiana, una delle mille case cilene di Neruda? Vuoi non parlare con la signora che stende i panni e ti allerta a non scendere oltre quella casa viola, perché da lì in giù inizia la malavita? Vuoi non fermarti alla bancarella di magliette e tazze dipinte a mano, comprarne una e selfarti con l’autore? Vuoi non scoprire quale altro, stupefacente affresco si nasconde dietro l’angolo?
È che sono affetto da una sorta di “sindrome del cosa c’è dopo”, cosa c’è dopo quella curva, cosa c’è dopo quel ponte, una mia inguaribile patologia esplorativa: pur essendone perfettamente cosciente, so che se mi tengo ancora qualcosa da vedere il giorno del volo che mi riporta a casa, rischio di perderlo, il volo – è successo un paio di volte, a Parigi e a Dublino.
Stava per succedere pure a Valparaiso, psicodramma evitato soltanto grazie all’infrazione di un centinaio di articoli del codice stradale cileno sulla Ruta 68 – uno per tutti, il limite di velocità a 120 km/h, da me innalzato arbitrariamente a 150 – e alla magnanimità dell’uomo al check-in, ormai chiuso ma che lui ha riaperto per accogliere le mie suppliche di pulcinella italiano strappato agli affetti più cari in caso di perdita dell’aereo.
Solo così, con la solita frenesia e la solita pantomima, bagnato fradicio per la corsa al gate, sono salito in tempo sul volo AF0401 delle 14 destinazione Parigi.
Un unico rammarico, non aver nuotato nell’oceano, magari insieme ai leoni marini, non essermi asciugato al sole mentre il popolo domenicale di Renaca passeggiava pigro sulla pista ciclabile, non aver avuto un giorno in più, soltanto un giorno in più di Cile.
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