Un muretto di mattoncini sbreccati a forma di L, nascosto da una siepe di alloro. Era l’alcova segreta di ogni coppia nascente al Green Marine, il residence dorato dove dal 1978 la mia famiglia passava l’estate. Noi preadolescenti lo chiamavamo la “Elle”.
La Elle godeva di una posizione defilata, tra due vialetti minori, lontana dal giardino centrale brucato notte e giorno dalle pupille prensili dei villeggianti, che dai balconi vigilavano sulla virtù delle figlie.
Alla Elle non si andava per parlare. Portare una ragazza alla Elle significava svoltare, entrare di diritto nell’età adulta, sorseggiare un Armagnac, aspirare un Toscano.
Lei veniva da Cappelle de’ Marsi, vicino Avezzano, Isabella Di Qualcosa – Di Pietro, Di Benedetto, Di Matteo, un cognome molto abruzzese. E delle donne d’Abruzzo, nonostante i quattordici anni, già ostentava le tipiche fattezze: strascico di ricci nerissimi, occhi azzurri e pizzuti, naso rapace, fianchi possenti e seno sfrontato.
Con gli anni avrei preferito donne di altre latitudini, sassoni, normanne, celtiche, o etrusche e padane. Ma era il 1983 e io un tredicenne appena uscito dall’oratorio, l’interesse di una qualsiasi femmina – mediterranea o lappone – non poteva che inorgoglirmi e solleticarmi la virilità, ancora inesplorata da chicchessia all’infuori della mia mano destra.
Dopo giorni di sguardi obliqui, sorrisi muti e pruriti diffusi, decretai che Isabella Di Qualcosa sarebbe stata la prima donna a baciarmi come Dio comanda; a settembre iniziavo il Classico e volevo bere brandy e fumare sigari coi nuovi compagni.
All’epoca la mia sapienza sessuale stava tutta nelle dita intrecciate con Martina sui banchi delle medie e nei bacini intorno alle labbra di Nicoletta al campeggio estivo del 1982. Isabella, invece, aveva finito la quarta ginnasio e non faceva mistero di come l’intraprendenza dei liceali avezzanesi le avesse trasmesso una certa conoscenza del pianeta sesso; laddove per sesso s’intendeva, almeno io intendevo, qualsiasi convergenza di parti del corpo che andasse oltre le dita intrecciate e i bacini intorno alle labbra.
Una sera trovo l’audacia di proporle la Elle e Isabella acconsente. Sgusciamo fuori dal giardino, conquistiamo il muretto del peccato e partono i titoli del kolossal Da oggi sono un uomo.
Non saprò mai quanto in profondità si fosse spinta Isabella prima della sessione erotica alla Elle, ma le sue chiare allusioni ai recenti esperimenti scolastici mi producono una discreta ansia da prestazione, che esorcizzo con palpeggiamenti e baci compulsivi al collo. Lei pare apprezzare, il che non aiuta ad allentare la tensione: non ho la minima idea di cosa dovrà accadere una volta esaurito il furore nei confronti del suo collo. Dipendesse da me, continuerei così per ore, fino a scartavetrarmi le labbra.
È lei a girarsi, alzarmi la testa e stamparmi un bacio a bocca spalancata e lingua sibilante, con tale foga da obbligarmi a spalancare a mia volta la bocca e sibilare la lingua a caso. Entrambi sfoderiamo ventotto dei trentadue denti in dotazione a un esemplare di Homo Sapiens Sapiens; nell’impatto almeno dodici cozzano tra di loro, rendendo cruento quello che avrebbe potuto essere lo slancio più sensuale della mia vita.
Superata l’incresciosa anteprima, la serata alla Elle fila via senza altri intoppi e mi guadagno l’Armagnac grazie a una serie ardente di baci in sicurezza.
La mattina dopo era già tempo di scelte definitive, bisognava stabilire cosa fossimo diventati, io e Isabella. Intuivo che potesse trattarsi di una semplice tempesta ormonale spintasi a riva, eppure mi ero convinto che da come ci fossimo salutati all’ombrellone sarebbe dipeso il nostro futuro: quando ci saremmo sposati, quanti eredi avremmo generato e a quale lavoro mi sarei dovuto piegare per mantenere moglie e figli a Cappelle de’ Marsi.
Ebbi la tentazione di non scendere in spiaggia fino alla fine dell’estate e lasciare che l’autoesilio domestico mi sgravasse da tali e tante responsabilità. Mi riuscì per un paio di giorni, poi prevalsero gli ultimi rantoli di pubertà: raggiunsi Isabella al mare, ci baciammo sulla guancia in modo da non destare sospetti e per le successive undici sere ci rifugiammo alla Elle a pomiciare.
Nei primi mesi d’autunno ci spedimmo lunghe lettere tra l’Abruzzo e la Lombardia, in cui ci scambiavamo le rispettive, effervescenti condizioni di liceali. Verso dicembre smisi di scriverle, erano cominciati i sorrisi muti e i pruriti diffusi con una compagna di classe, che solo l’anno successivo avrei avuto l’ardire di baciare. Qualche tempo dopo smise di scrivermi anche Isabella, scomparendo dalla mia vita.
Ogni tanto la immagino, Isabella.
Single tonica e raffinata, i cinquanta che sembrano quaranta, i capelli ancora ricci e neri, solo più corti. Giornalista, giudice, poetessa.
Oppure sposata, mamma di figli adulti, chioma non più nerissima, occhi di un azzurro stanco, fianchi deragliati, seno asciutto e naso rifatto. Casalinga, operatrice di call center.
Magari abita ancora a Cappelle de’ Marsi, magari ha ancora casa al Green Marine e ogni sera d’estate sguscia via dal giardino, s’infila tra due vialetti minori e si avvicina di nascosto alla Elle, per reimparare dai ragazzini cosa significa l’amore.
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