Stese l’asciugamano sul gradino più alto e si sedette. Sotto di lui, due bronzi di Riace intorno ai venticinque sonnecchiavano sdraiati esibendo gli addominali, mentre un terzo parlottava con una ragazza dai capelli blu e l’ombelico uncinato da un piercing abbagliante. Quattro maschi e una femmina, niente di nuovo, la sproporzione di genere era una consuetudine nella sauna del Fitness Paradise, dove Sebastiano amava traspirare il sudore della corsa. Le donne che, un piano più su, affollavano la palestra di Lendano – per esorcizzare menopause, sciogliere grasso adolescente, raddrizzare vertebre anziane – laggiù, all’inferno, non ci andavano. All’inizio, si era convinto che la gabbia di legno le soffocasse, che quella cappa rovente, per lui così salvifica, per loro fosse solo mancanza d’aria. Il ragionamento poggiava su un campione statistico limitato ma significativo, la ritrosia di Bea a entrare in sauna dopo le loro sgroppate sulla neve: quando riusciva a convincerla, sua moglie reggeva i settanta gradi una trentina di secondi, poi scappava paonazza in cerca di spazio e luce. Nella puerile tendenza di Sebastiano a generalizzare, la claustrofobia di Bea era la claustrofobia di ogni donna.

Un giorno, Sebastiano aveva intercettato la chiacchiera di un paio di quarantenni sovrappeso alle prese con un bilanciere; si confidavano il comune disagio nel penetrare la zona wellness. Una delle due, qualche settimana prima, era scesa nel bagno turco e, tra le nuvole del vapore, le era parso che una mano la sfiorasse. Si era alzata ed era uscita all’istante. L’altra aveva annuito, le volte che si inoltrava nel sotterraneo buio e basso del Paradise percepiva la presenza di troppi occhi voraci, di troppe dita prensili. Alla fine entrambe avevano convenuto che fosse più prudente disertare sauna, bagno turco e idromassaggio, a tutela della propria integrità psicofisica. A sentirle, Sebastiano aveva riflettuto sui danni profondi del neofemminismo, sulle allucinazioni del Me too, sulle denunce per molestie appena un uomo azzardasse un’occhiata più intensa. Una mano che la sfiorava, cazzate, se la sarà immaginata; anzi, è quanto avrebbe desiderato, la massaia sformata, di certo nessuno la toccava da anni. Tuttavia, pur evidente l’irrazionalità di quella testimonianza, la penuria di donne nella wellness era un fatto e Sebastiano, suo malgrado, si era rassegnato alla vaga, appiccicosa attendibilità dell’istinto femminile.

La ragazza dai capelli blu avrà avuto vent’anni e, dal gradino di Sebastiano, s’intuiva la poca stoffa di un tanga fucsia, in vistosa controtendenza rispetto agli scafandri delle temerarie che si avventuravano nelle catacombe del Paradise. Guardava dritto davanti a sé, lasciando che il giovanotto non sdraiato le alitasse in viso una crescente eccitazione, carica di ammiccamenti, mezze frasi e slanci frenati. Dopo qualche minuto, i due bronzi coricati alzarono la schiena e si unirono al primo nell’elogiare forme e disinibizione di colei che, per docilità e compiacimento, era chiaramente un’amica. Dalla sua postazione sopraelevata, Sebastiano ascoltò i tre congratularsi per costume, ombelico e tinta, ma il tanga lo metti sempre o hai voluto farci un regalo? Zoe, non sai quanto pagherei per giocare col tuo piercing… Ti sei fatta blu anche lì?

Zoe abbozzava un sorriso ad ogni apprezzamento, rincantucciandosi via via verso la parete. Al di là del conformismo finto eccentrico, la ragazza sfoggiava un culo di marmo e spalle larghe e morbide; Sebastiano rivide culo e spalle di Bea a trent’anni, quando il loro sesso era pirotecnico e naturale, non l’attuale elemosina mensile. Da tempo andava a caccia di stimoli che risvegliassero le smanie della moglie. Si era perfino informato sull’universo opaco degli scambisti, chissà, magari Bea era stanca del suo corpo, gagliardo per il cinquantenne che era, macilento però al cospetto dei tre giovani culturisti là sotto. Lui pure non disdegnava l’idea di accoppiarsi con altre femmine, dopo ventidue anni di monogamia coatta. La prima poteva essere Zoe, col tanga e il piercing da puledra golosa.

Quando la sabbia della clessidra coprì i quindici minuti, Sebastiano abbandonò la sauna e portò una gracchiante erezione a scemare altrove. I ragazzi parevano non avvertire la carezza incandescente del forno in cui stavano cuocendo e continuavano ad assediare Zoe con lusinghe sempre più grevi. Il resto della wellness era deserto, il bagno turco aperto, l’idromassaggio spento. Sebastiano mise la cuffia, schiacciò il pulsante e si rimestò tra le bolle, poi passò al setaccio della doccia e rientrò negli spogliatoi.

A metà della vestizione, si accorse di non avere con sé la cuffia, l’aveva tolta per strigliare i capelli in doccia e lì, da qualche parte, era rimasta. Sebastiano rinculò alla wellness. Incurante del cartello manutenzione che ora campeggiava sulla porta, entrò in maglietta, mutande e calzini e puntò la cuffia sgonfia sul bordo dell’idromassaggio. La sauna era vuota, i ragazzi si erano decisi a uscire dal cratere. Nell’attraversare il caveau della palestra, mentre si chiedeva dove fossero i manutentori, Sebastiano fu raggiunto da sommessi gridolini provenienti dal bagno turco. Vi spostò lo sguardo, ma le volute di condensa erigevano una barriera impermeabile alla vista. Si avvicinò, tanto da schiacciare il naso sul vetro; ai gridolini si aggiunsero rantoli e grugniti baritonali, poi si aprì uno squarcio nella nebbia che ne rivelò l’origine. Qualcuno stava scopando nel bagno turco: lo dicevano le sagome antropomorfe intrecciate davanti a lui, lo certificava il movimento ondulatorio, più di una figura che dell’altra.

A uno strappo più ampio nel vapore apparve Zoe, coi capelli blu appiccicati alle guance e le mani dei tre amici tutte addosso. Era riversa di schiena sulla panca, gli occhi chiusi; il ragazzo più ciarliero della sauna la pompava in piedi e gli altri le impiastricciavano il corpo fradicio. Sebastiano ora era incollato al vetro e nessuno pareva accorgersi di lui. Nel momento in cui l’uccello riprese a gracchiare, Zoe aprì gli occhi e gli arpionò lo sguardo, quasi implorandolo, prima di tornare a gemere sotto i colpi del maschio alfa. Era tale la frenesia che i maschi subalterni faticavano a tenerla ferma. Sebastiano pensò di aggregarsi al gruppo, di contribuire a saziare quella ragazza selvatica, che aveva palesemente voglia di cazzi più esperti. Ma Bea lo aspettava per cena e la presenza di tre vigorosi estranei, sommata alle aspettative di Zoe, avrebbe dilatato i tempi già lunghi delle sue eiaculazioni, sempre che l’uccello avesse continuato a gracchiare. Sebastiano staccò il naso dal vetro e lasciò Zoe ai membri acerbi degli amici; avrebbe trovato il modo di appagare la sgualdrinella, in macchina, in un cesso o magari, perché no, nel bagno turco del Paradise.

Balthus. La camera.

Dopo cena, con Bea che sciacquava i piatti, Sebastiano si mise a pascolare su Facebook, in attesa di guardare insieme la serie di giornata. S’imbatté nell’ennesimo post integralista della suffragetta di turno, tutto un catechizzare il solito dirigente accusato di aver preteso favori sessuali dall’aspirante segretaria. Lei, la segretaria, dopo diversi anni e strazianti travagli interiori, s’era risolta a denunciare lo scempio, naturalmente grazie alle campagne di sensibilizzazione di quella e delle altre amazzoni della rete. Di norma Sebastiano non commentava, stavolta però scelse di raccontare quanto visto nella wellness del Fitness Paradise di Lendano. Attaccò didascalico, ma più scriveva più cresceva l’indignazione nei confronti della ragazza dai capelli blu, fulgido esempio di come non tutte le donne celebrassero la sacralità del proprio corpo, qualcuna un po’ zoccola lo era davvero.

Al suo seguirono decine di commenti, equamente divisi tra accuse di maschilismo retrogrado e lodi per aver scoperchiato il vaso dell’ipocrisia femminista, queste ultime accompagnate dalla richiesta di dettagli sull’identità della ragazza. Sebastiano ignorò le invettive, si compiacque dei consensi e, in un attimo di premeditata distrazione, gli scappò il nome di Zoe.

Tre giorni dopo, il riverbero della sua rivelazione digitale ancora bello sonoro, lo contattò la redazione di Lendano News, il notiziario online più cliccato in città. La storia di Zoe che intrattiene tre giovanotti nel bagno turco della palestra locale aveva circumnavigato il web e una solerte giornalista intendeva cavarne un articolo, magari corredato di video, se lui ne avesse girati. Sebastiano si rammaricò di non aver ripreso la scena: qualche fotogramma avrebbe arricchito la narrazione di un gustoso supporto visivo e, aspetto ben più rilevante, avrebbe ravvivato le sue sciatte sessioni di autoerotismo.

Sul fatto, Sebastiano fu prodigo di particolari e giudizi sferzanti; sollecitato dall’insistenza della giornalista, sottolineò come la disinvoltura con cui la ragazza – Zoe – aveva concesso il corpo a più uomini, e in un luogo pubblico, confermasse non solo la deriva valoriale delle nuove generazioni, ma anche la miopia delle femministe, incapaci di scorgere nell’amoralità della donna la vera ragione della sottomissione all’uomo: anziché blaterare di soprusi e violenze, stalking e condizionamenti psicologici, pensassero a educare le figlie a non copulare nei bagni turchi!

In coda al pezzo, la reporter gli chiese un parere sulla decisione presa dal direttore del Fitness Paradise, il quale, dopo aver identificato come Zoe Carugati, residente a Perno Maggiore, la Zoe ventenne dai capelli blu citata da Sebastiano su Facebook, l’aveva espulsa dalla palestra con effetto immediato. Bene, aveva fatto bene il direttore! Che la punizione per la condotta sciagurata di Zoe fosse di lezione alle tante ragazzine tentate dall’emularla e alle paladine dell’uguaglianza di regime, che scambiavano le carnefici per vittime.

Poche ore più tardi, sulla home di Lendano News comparve l’articolo “Giochi erotici al Paradise”, che riportava fedelmente quanto descritto da Sebastiano e specificava, in un rigurgito di deontologia, che non era stato possibile acquisire la versione della ragazza, Zoe Carugati si era rifiutata di rilasciare dichiarazioni.

Quando suonò il citofono, Sebastiano stava assaporando il passaggio sullo sguardo lascivo della ninfomane che lo supplicava di farla sua. Si alzò e colmò i pochi metri dal divano all’ingresso, pronto ad accogliere le prime adesioni al rigore e al coraggio della sua testimonianza. Giunto alla porta, sollevò il ricevitore e una voce sconosciuta di giovane donna gli invase casa: «Sono Zoe e vorrei parlarle del mio stupro».