Certo Venezia, Napoli, Roma, Firenze. Ma sotto il luccichio delle sue meraviglie, l’Italia nasconde sorprese ad ogni svincolo autostradale. Sto sgroppando in sella al mio Beverly 300 su una A14 bella come non mai, quando glutei e stomaco reclamano una sosta: penso a Civitanova Marche, tra una trentina di chilometri. Mentre pregusto la sabbia, sfreccia laterale un cartello di quelli marroni con i posti da vedere in zona: Osimo, la “Città segreta”! A corredo l’immagine di una grotta o catacomba o tunnel sotterraneo. Di Osimo sentii parlare nel mio paleozoico da un amico di famiglia della mia ragazza d’allora, lui c’era nato e gli brillavano gli occhi a rievocare la migrazione forzata al Nord dalle Marche. Impacchettai e conservai quel racconto in una manciata di neuroni, quelli che si sono risvegliati davanti al cartello, intimandomi di rinviare di un giorno il refrigerio nell’incantevole fanghiglia del Medio Adriatico. Niente Civitanova, uscita ad Ancona Sud, a destra, verso le colline.

Conero

Salendo via via di altezza, mi scopro a confrontare i paesaggi delle Marche con altre regioni, che so, il Veneto. Il Veneto gode di una varietà infinita di ecosistemi: ha le Dolomiti cristalline come il Polesine paludoso; le città storiche che raggiungono il mare e un mare minore nel Lago di Garda; le fonti termali padovane, le ville vicentine, la Valpolicella, la Laguna e i canali. Le Marche sono solo colline a perdita d’occhio che si tuffano nell’Adriatico e, sui cocuzzoli, borghi immobili nel tempo. Il Veneto mi rilassa, mi diverte, mi stuzzica, ma quant’è dolce naufragar tra Recanati e Ascoli Piceno!

Osimo si fa desiderare, più curve e paesi di quanto pensassi. Finalmente le mura, le solite, possenti mura dei nostri villaggi arroccati. Lego il Beverly al primo albero – dei vantaggi di viaggiare in scooter, il più benedetto è lo sfizio di parcheggiare ovunque, sbeffeggiando le auto – e mi addentro nel centro storico.

Recanati

È giorno di mercato e il borgo vibra di vita; ancora per poco, però, gli ambulanti stanno cominciando a sbaraccare. Mi si apre alla vista una piazzetta con due ristoranti all’aperto; ho fame, non mangiando dalla prelibata colazione di Ludovica a Rimini, eppure mi cattura l’attenzione una farmacia incastonata in un palazzotto seicentesco, di quelle antiche coi vasi dei medicamenti sopra alle madie alte di faggio scuro. È aperta, entro: alla curiosità si è aggiunta l’urgenza di ripristinare la scorta di aspirine, esaurita dopo un’esplosione di emicrania a Castel San Giovanni, effetto collaterale dell’annullamento improvviso del concerto di Cammariere per due gocce di pioggia mai scese.

La farmacia è vuota e spenta: «C’è nessuno?» azzardo. Silenzio e riverbero. «C’è qualcuno?» riprovo, invano. Esco a controllare gli orari: chiusa dalle 13 alle 15, è l’una e un quarto. Mi vuoi dire davvero che Osimo è talmente tranquilla e immobile nel tempo da permettere al farmacista di lasciare tutto aperto per andare a pranzo, con la mercanzia in bella vista? E, magari, perché no, pure la cassa? Voglio crederci, voglio credere ai racconti dei vecchi che, ancora a metà del secolo scorso, non chiudevano la porta di casa neanche a Milano, perché alla peggio entrava lo scemo del villaggio a fare un po’ di baccano, prima di uscire borbottando. Mi saetta tra le dita la tentazione di trafugare un blister di aspirine, ma il teppistello stavolta non vince e lascio intatta l’illusione di un mondo scomparso, se mai esistito.

Ascoli piceno

I due ristoranti della piazzetta sono pressoché identici; consegno De Gustibus alla sua supponenza ricercata e mi accomodo sulle sedioline liberty del Caffè della Piazza, senti come suona bene! Mi serve una ragazzetta agile e sveglia, il graffito d’ordinanza sull’avambraccio recita “Ricordati di amarti!” Lo abbino a quello di una cassiera del Brico letto giorni fa – “You are your only limit” – e mi convinco una volta di più che la vera, recondita, inconfessabile ragione per impiastricciarsi la pelle con slogan da manuale yankee di training autogeno sia da rintracciare in un colossale deragliamento dell’autostima di chi si tatua. Tra me e la ragazzetta scorre tutto liscio: non avanzo richieste strane, non le metto fretta, non le mino le giovani, granitiche sicurezze; evito con cura di procurarle la minima contrarietà, perché altrimenti, in quanto recluta dell’esercito dei tatuati, reagirebbe con dispetto, se non aggressività, attivando primitive forme di autoaffermazione a colmare l’ingombrante baratro di considerazione di sé, scoperchiato dalla mia incauta dialettica. Intendiamoci, non tutti i soldati con l’inchiostro nelle vene sono così, c’è anche chi si scartavetra l’epidermide perché “Mi piace”, perché “Mi rappresenta”.

Divorate le orecchiette in salsa di pistacchi e mortadella croccante, e assaporata la pochezza critica e narrativa dei resoconti di “Repubblica”, mi decido a penetrare la città segreta, quella del cartello sulla A14. La ragazzetta che deve ricordare di amarsi mi indirizza gentile all’Ufficio del Turismo: tutte cazzate quelle sui tatuaggi, l’autostima e l’ostilità! Gli Uffici del Turismo dei nostri borghi sono spesso ospiti di edifici storici, quello di Osimo è ricavato dentro le mura. A presidiarlo Simona, una vaga somiglianza con Valentina Vezzali – marchigiana anch’ella – e un’innata predisposizione all’accoglienza, tempo fa avrei scritto “attitudine”, ma è la nuova, sensuale frontiera del conformismo lessicale e l’ho dovuta abbandonare a malincuore al suo destino.

La Grotta del Cantinone

Simona mi racconta della Osimo sotterranea, scavata anche quindici metri sotto il pavimento della città fin dai tempi dei Piceni, primi migranti dal Lazio a queste terre. Per qualche motivo sono attratto dalla profondità, dove c’è una grotta mi ci inoltro; sarà il silenzio, il fresco, l’impazzimento delle bussole temporali, l’acuirsi di tutti i sensi, il denudarsi dell’anima. Sarà il buio. Ora sotto i piedi ho centinaia di cunicoli, nicchie, pozzi, mi ci devo calare in quegli inferi!

Scendiamo allora, io, Simona e una coppia di piemontesi con cane. I tunnel artificiali di Osimo non emanano il fascino delle cavità naturali – anni fa mi inoculai nelle Grotte di Nettuno ad Alghero, un’esperienza mistica – ma esaltano l’ingegno e l’istinto a sopravvivere dell’uomo: nella città segreta non c’è illuminazione, solo riferimenti tattili incisi nell’arenaria utilizzati come codici di orientamento. Qui hanno trovato asilo partigiani in fuga dai nazisti, criminali, congreghe di massoni, cristiani e pagani, amanti; fino al 2007, allorché il Comune di Osimo ha sottratto le gallerie ai privati – ogni casa del Centro aveva un suo accesso – e le ha aperte al pubblico. Dopo un’ora di flusso ininterrotto di informazioni, all’orizzonte una montante claustrofobia, Simona riemerge me, i piemontesi e il cane nell’atrio dell’ufficio turistico; sul suo viso piceno guizza un lampo di compiacimento: altri forestieri hanno visto la sua città segreta, e altri sono in coda per farlo. Vorrei conoscerla meglio, Simona, per chiederle quanto la pagano, se ha un contratto stabile, se alla sua professionalità corrisponde un’adeguata serietà di chi comanda in giunta. Per ora devo limitarmi a ringraziarla e invitarla ad ascoltare la mia musica: ah, non è sui social… certo, troppa folla, troppa luce, troppo rumore, non c’è gara con la pace rigenerante della città segreta!