Le poche anime che bighellonano per Cape Cod a fine ottobre si fanno un po’ tutte i fatti loro. Non che non siano gentili – gli americani lo sono per contratto: quindi mi spiegano la strada quando mi perdo, cioè spesso, mi fanno le foto quando glielo chiedo assecondando diligenti il mio perfezionismo, mi raccontano i menu con irrequieta pazienza – sennonché la mia provenienza mediterranea, che sbandiero cialtrone come un primato, e che tante soddisfazioni mi ha regalato nel New Hampshire, qui non fa breccia. Mi sto facendo l’idea che i capecodiani siano meno provinciali dei cugini del Nord, Boston è troppo vicina per non assorbirne cosmopolitismo e apertura mentale, facile dunque che molti di loro l’Italia l’abbiano vista e che non sia l’oggetto esotico da Wow! e Oh my God!, così splendidamente attrattivo per la popolazione fanciullesca delle White Mountains.
Sandwich Boardwalk
Restare in un anonimato apolide non mi dispiace, mi consente di atteggiarmi ad abitante clandestino di Cape Cod, nuovamente quella condizione di turista-residente cui aspiro in ogni mio pellegrinaggio fuori patria. Più di altre, due cose qui agevolano il processo di integrazione. La lingua, innanzitutto: con lentezza ma progressione sto imparando il gergo di quest’angolo d’America; ora, quando entro in un bar, negozio o stazione di servizio e mi accolgono con How are you doin’? – formula intraducibile, un po’ il nostro “Come ti va?” – finalmente, dopo dieci giorni di apprendistato yankee, evito di assumere espressioni interrogative che mi smaschererebbero all’istante quale bieco latino abusivo, e rispondo lesto Fine, thanks, con un leggero accento nasale alla Robert Zimmermann che non guasta mai. Oppure, al momento del conto al ristorante, stralcio il termine bill e vado dritto con sicumera al May you cash me, please?
Seafood Sam
Oltre a parlare come loro, la seconda alchimia per sembrare un ammericano è guidare come loro, che è molto più difficile. Si tratta in sintesi di considerare l’auto come una lavatrice o un frigorifero: un elettrodomestico qualsiasi, la cui unica funzione è trasportarti da un McDonald a casa a un altro McDonald. Io ho la fortuna di essere pochissimo italiano nel mio non-culto dei motori, della velocità e tutte le spavalderie nostrane: non mi turbano le intimazioni a rallentare, gli speed limit segnalati, e rispettati, ogni venti metri su qualunque strada, anche il viottolo di casa.
Shining Sea Bikeway
Mi riesce meno facile trattenermi dall’uso improprio del mezzo, chessò: la simpatica inversione a U, la gagliarda retromarcia per entrare in un parcheggio appena superato, il cambio di corsia all’ultimo. Sul cambio di corsia al semaforo gli americani potrebbero uccidere tanto quanto gli italiani per un sorpasso. Ho visto mettere taglie su chi, osando ignorare il diktat che domina qualunque crocevia – Right lane MUST turn right – prima s’incanala a destra e poi va dritto.
Il dramma si consuma ogni volta che si avvicina un semaforo e sto cercando una traversa da prendere a destra. Opzione Uno: mi incanalo laterale sperando di aver azzeccato la svolta giusta; in caso contrario sono costretto comunque a girare, aspettare un diner, un centro commerciale, un benzinaio – in America non esistono gli slarghi – per fare manovra e tornare al semaforo. Opzione Due: tengo la barra centrale, con l’auspicio che la svolta giusta sia all’incrocio successivo; in caso contrario sono costretto comunque ad andare dritto, aspettare un diner, un centro commerciale, un benzinaio – in America hanno in odio gli slarghi – per fare manovra e tornare al semaforo. Virate improvvise a parte, non senza sforzo mi sto uniformando alla disciplina locale al volante, riesco perfino a non coprire d’insulti le nonne Papere che conducono la Chevrolet come fosse un triciclo.
West Falmouth
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